Se vogliamo che la tradizione del femminile venga ristabilita, è necessario
scrivere nuove storie e creare nuovi miti, cantare nuove canzoni e far nascere nuovi archetipi.
Paola Biato
IL MITO DI PERSEFONE
Demetra aveva una bellissima figlia, Persefone, la quale vegliava sulle messi insieme alla madre, era attratta in modo particolare dai novelli germogli di grano che spuntavano dal suolo con delicata sfumatura di verde che era la sua preferita. Amava passeggiare fra le piante giovani, invitandoli a crescere e accarezzandone i virgulti più piccoli. In seguito, quando le piante erano quasi mature, Persefone le lasciava alle cure della madre e vagava sulle colline a raccogliere narcisi, giacinti e ghirlande di mirto per la chioma di Demetra. La stessa Persefone preferiva gli sgargianti papaveri rossi che spuntavano fra il grano. Quando Demetra si sentiva molto felice e serena, piccoli germogli di orzo e di avena spuntavano dalle impronte che lasciava sulla terra. Un giorno, seduta sul versante di un'alta collina, madre e figlia guardavano in molte direzioni i campi di grano di Demetra. Mentre Persefone giaceva sulla schiena, la madre le accarezzava lentamente i lunghi capelli. “Madre, talvolta nei miei vagabondaggi ho incontrato gli spiriti dei morti indugiare presso le loro dimore terrene, e talvolta persino i mortali possono vederli nell'oscurità della luna, alla luce dei fuochi e delle fiaccole. Vi sono spiriti che vagano inquieti, sebbene non abbiano nessuna intenzione di nuocere. Io parlo con loro, madre. Sembrano confusi, e molti non sono neppure consapevoli della loro condizione. Non c'è nessuno nel mondo infero ad accogliere coloro che sono morti da poco? Demetra sospirò dolcemente e rispose: “sono io ad avere sovranità sul mondo infero. Dalle profondità della terra sotto la superficie, traggo le piante coltivabili e le piante selvatiche. E nelle fosse sotto la superficie della terra ho insegnato ai mortali a depositare dalla mietitura fino alla semina, affinché il contatto col mio mondo infero li fertilizzi. Sì, conosco molto bene il regno dei morti, tuttavia devo compiere qui la mia opera più importante. Devo nutrire i vivi”.
Allora Persefone si girò sul ventre e pensò agli spiriti spettrali che aveva visto, e loro volti contratti per la sofferenza e lo sgomento.
“I morti hanno bisogno di noi, madre. Andrò da loro.”
Di scatto Demetra si alzò a sedere, mentre un brivido freddo l’ attraversava e frusciava nell’erba intorno a loro. Rimase muta per un momento, poi si affrettò a raccontare minuziosamente tutti i piaceri di cui godevano nel loro mondo di sole, di calore e di fiori fragranti. Disse alla figlia della tetra oscurità del mondo infero e la implorò di riconsiderare la sua decisione.
Persefone si alzò a sedere e abbracciò forte la madre, cullandola con lacrime silenziose.
Eppure la risposta di Persefone rimase immutata. Si alzarono e si incamminarono in silenzio giù per il pendio, verso i campi.
“Benissimo. Tu sei colma di amore da dispensare, e non possiamo donare soltanto noi stesse. Comprendo perché devi andare. Eppure se mia figlia, e per ogni giorno che rimarrai nel mondo infero, piangerò la tua assenza.
Persefone raccolse tre papaveri e tre fasci di grano. Poi Demetra la guidò a un abisso lungo e profondo, e creò per lei una fiaccola da portare. Immobile, osservò la figlia scende sempre più nelle profondità della terra. Con un braccio Persefone, teneva sul seno il grano della madre e con l'altro teneva alta la fiaccola.
Durante la discesa rimase sconcertata dal freddo, tuttavia non ebbe paura. Si addentrò sempre più in profondità, camminando lentamente e con prudenza sul sentiero roccioso per molte ore, circondata soltanto dal silenzio. Poi divenne consapevole di un flebile gemere, che a poco a poco crebbe di intensità, finché svoltò un angolo ed entrò in una caverna enorme, dove gli spiriti dei defunti, a migliaia, si aggiravano si accalcavano senza scopo, abbracciandosi a vicenda, scuotendo le teste è gemendo nella disperazione.
Persefone proseguì il suo cammino attraverso le ombre fino a masso grande e piatto, sul quale salì. Creò un sostegno per la fiaccola, un vaso per il grano di Demetra e, una ciotola ampia e poco profonda, colma di semi di melagrana, nutrimento dei morti. Mentre stava in piedi davanti a loro, la sua aura divenne sempre più calda e sempre più luminosa.
“Sono Persefone, sono giunta qui per essere vostra regina. Ciascuno di voi ha lasciato il proprio corpo terreno e ora dimora nel regno dei defunti. Se verrete a me, io vi inizierò al vostro nuovo mondo.”
Con un cenno chiamò i più vicini a salire sul passo a entrare nella sua aura. Mentre ogni spirito le passava dinnanzi, Persefone ne abbracciava la forma, poi indietreggiava e lo scrutava negli occhi. Prendeva alcuni semi di melagrana e li schiacciava tra le dita. Tingeva la fronte conun largo segno di succo rosso, simile nella forma al grano falciato, e lentamente dichiarava:” Sei salito alla pienezza della vita e sei disceso nell'oscurità; possa tu essere rinnovato nella tranquillità e nella saggezza.”
Per mesi Persefone accolse i defunti e né rinnovò la vita senza mai riposare e senza mai stancarsi.
Nel frattempo, sua madre, sempre sconsolata, vagò per la terra, nella speranza di incontrare la figlia, quando fosse riemersa da uno dei suoi segreti crepacci. Nel suo dolore riassorbì il proprio potere dai raccolti, dagli alberi, dalle piante. Proibì a qualunque nuova crescita di coprire la terra. I campi rimasero sterili anche se i mortali vi piantarono i loro semi. Struggendosi di solitudine, Demetra finalmente sostò sopra il versante di una collina e fissò i propri occhi infossati sul nulla. Per giorni e notti, per settimane e mesi, rimase seduta ad attendere.
Un mattino mattino, un anello di crocchi purpurei spuntò silenziosamente dal suolo a circondare Demetra, la quale osservò con sorpresa i nuovi arrivati dal mondo sotterraneo e si rammaricò di essere troppo debole per infuriarsi davanti a quella trasgressione del suo comando. Poi si chinò e li udì sussurrare nell'ebbrezza calda: “Persefone ritorna! Persefone ritorna!” Allora Demetra balzò in piedi e corse giù per la collina, attraverso le campagne, nella foresta. Agitando le braccia, gridò: “Persefone ritorna! Ovunque la sua energia fremette, spinse, scoppiò in tenera vegetazione e e pallidi petali novelli. Gli animali persero la vecchia pelliccia rotolandosi nell’erba fresca e pulita mentre gli uccelli cantavano: “Persefone ritorna, Persefone ritorna!”
Quando Persefone emerse da un abisso tenebroso, Demetra l’attendeva con un mantello bianco, fatto di crocco. Allora corsero l’una incontro all’altra e si abbracciarono, e piansero, e risero, e si abbracciarono, danzarono e danzarono. I mortali videro ovunque i miracoli della felicità di Demetra e gioirono nella nuova vita di primavera. Ogni inverno partecipano all’attesa di Demetra attraverso la tetra e fredda stagione di sua figlia. Ogni primavera sono rigenerati dagli annunci del ritorno di Persefone.
(Le dee perdute dell’antica Grecia di C. Spretnak, edizioni Venexia)
Un'altra versione del mito...
LA LEGGENDA DELLE 4 STAGIONI
All’inizio dei tempi, quando
le divinità camminavano tra gli uomini per osservarli da vicino e mescolarsi tra loro, viveva in Grecia una fanciulla di rara bellezza. Ella era candida e pura come una rosa e vivace come un
papavero. Era altresì audace, forte e determinata come una ginestra, poiché nulla poteva abbattere il suo spirito libero.
Nemmeno gli dei immortali.
Nemmeno la misteriosa Morte.
Il suo nome era Persefone. Questa creatura leggiadra, tuttavia, non apparteneva alla stirpe umana, poiché sua madre, la laboriosa Demetra, era una dea.
La progenitrice della fanciulla svolgeva un compito assai importante per gli uomini: ella governava il clima e le forze della natura ed era pertanto merito suo se i
mortali possedevano cibarie di ogni genere con cui sfamarsi ogni giorno. Senza il suo incessante lavoro, l’umanità sarebbe morta di stenti. Persefone osservava la madre e l’ammirava per la sua
tenacia e la sua costanza e sperava fin da piccola di poterla emulare un bel dì.
Accadde però un giorno, che Demetra si rifiutò di adempiere il suo lavoro quotidiano.
“Quegli esseri ingrati si godono il frutto delle mie fatiche e nel frattempo ridono di me, alle mie spalle!” disse adirata e con tutto l’odio che il suo cuore
riusciva a provare “Che si arrangino! Che muoiano di fame, se devono! Io non voglio più avere nulla a che fare con tali esseri miseri e meschini!”
“Madre mia.” fece Persefone, tentando di riportare alla ragione la dea “So bene che siete afflitta, ma non dovete permettere ai vostri sentimenti di interferire con
il compito che il sommo Zeus vi ha affidato. Gli uomini, le donne, persino i vecchi saggi e i bambini innocenti… moriranno senza il vostro aiuto!”
La bella Demetra, per quanto la sua mente fosse annebbiata dal dolore e dalla rabbia, aveva tutte le ragioni per essere risentita. Ella aveva da poco subito un
empio tradimento, proprio da parte di uno di quei mortali che la figlia tentava in tutti i modi di difendere. La dea delle messi, infatti, si era invaghita del bel Demetrios, povero contadino,
che portava ogni giorno doni alla divinità per ottenere un buon raccolto. Dopo essersi concessa all’uomo, tuttavia, ella venne ripudiata da questi, che nel frattempo aveva sposato Akylina, la
fioraia di cui era da tempo innamorato. Ripresasi dall’iniziale burrasca di dolore, causata dal suo cuore infranto, Demetra, innamorata del corpo del giovane ma non del suo animo, s’adirò prima
contro il singolo e poi con l’intera comunità umana.
“Che muoiano tutti, allora!” aveva infatti risposto la dea alla figlia “Essi sono solo ingannatori e traditori: illudono noi dei che esistano sentimenti eterni,
quando invece l’unica certezza è la Morte… e questo lo impareranno sulla loro stessa pelle!”.
Dopo quest’ultime parole, urlate al vento e alla natura che tanto amava, la divina Demetra sparì, trovando rifugio nell’Olimpo. La piccola Persefone, amareggiata e
confusa, osservò la terra sgretolarsi lentamente sotto il Sole cocente, le piante seccarsi e perdere vigore, e la gente morire e lamentarsi per la sete e la fame. La giovane dea vide tra quegli
uomini anche Demetrios, colui che aveva tanto fatto soffrire sua madre, cedere con un sorriso la sua razione di cibo alla moglie. Non solo, egli pregava tutti gli dei affinché risparmiassero la
vita della sua amata.
“Punite me, oh essere immeritevole della vostra attenzione!” gracchiava con voce rotta dal pianto “Ma vi supplico, somme divinità che ci governate dall’Olimpo,
graziate la mia dolce Akylina, che ha come unica colpa quella di amare un farabutto!”
Udendo quelle parole tanto tristi, la donna abbracciò il consorte.
“Non essere crudele con te stesso.” gli bisbigliò con tenero affetto “A me non importa morire, fintanto che potrò farlo tra le tue braccia…”
Quella manifestazione di fedeltà incondizionata e di amore puro, commossero Persefone, che immediatamente corse sull’Olimpo per convincere la madre a
tornare.
“Gli uomini sono capaci di gesti mostruosi e brutali.” riferì la fanciulla al cospetto di tutti gli dei “E ciononostante, proprio nelle situazioni più disperate e
buie, quando tutto appare ormai spento e perduto, sono in grado di creare la luce. Hanno la capacità innata di dar vita a ciò che prima pareva morto e senza speranza alcuna, perchè loro
possiedono qualcosa che noi dei arroganti gli invidiamo e non avremo mai.”
Tra i bisbigli di disapprovazione e stupore, una voce più potente e carismatica delle altre si levò.
“E che cosa, Persefone?” domandò Zeus, con sincera curiosità.
“L’amore.” fu la semplice risposta.
Demetra rise amaramente e senza gioia alcuna.
“Amore? Tu, figlia mia, veramente credi che il mortale che mi ha ingannata, preferirebbe dare la sua vita pur di salvare la sua donna? In nome di ciò che tu chiami
“Amore”?”
“Così ha detto.” disse risoluta Persefone “Ed io non ho notato alcuna menzogna o esitazione nelle sue parole e nei suoi occhi.”
Tutte quante le divinità tacquero, in attesa.
“Molto bene.” affermò infine Demetra “Che lo dimostri, allora. A parole sono tutti degli eroi senza macchia, ma sono le azioni quelle che contano. Se Demetrios darà
veramente la sua vita in cambio di quella della moglie, allora m’impegno solennemente a riacquistare la mia funzione di dea delle messi. Ma in caso contrario… se l’egoismo avrà il sopravvento sul
tuo prezioso “Amore”, ebbene… che entrambi muoiano sotto atroci tormenti!”
La voce della divinità non era mai stata così velenosa e pungente.
Persefone accettò.
Lei voleva credere negli uomini e, soprattutto, non poteva fare a meno di sperare che esistesse un sentimento in grado di sconfiggere persino la Morte e il dolore.
Persefone confidava nella forza dell’Amore, poiché, sebbene era consapevole di non poterlo provare, sperava fermamente di poterlo almeno ammirare da lontano.
Quando Demetrios fu convocato dagli dei, egli si presentò come d’accordo nel tempio dedicato a Demetra, luogo in cui tutto aveva avuto inizio.
La determinazione del giovane nel voler salvare Akylina e il suo pentimento sincero per ciò che aveva compiuto in passato, fecero adirare ancor più la dea, che vide
sfumarsi così i suoi progetti di vendetta. Ma nonostante ciò, in un impeto d’ira, la divinità uccise il mortale con le sue stesse mani, che un tempo si prodigavano per dare la vita. Dopodiché,
Demetra si rifiutò persino di rispettare il resto della promessa fatta.
Persefone, disperata per il corso di quegli infausti eventi e sentendosi responsabile degli ultimi avvenimenti, decise di sostituire la madre. Sarebbe stata lei a
vegliare sugli uomini, non più l’infausta Demetra.
In tal modo, per qualche tempo la situazione migliorò, tuttavia Persefone veniva corrosa giorno dopo giorno dai sensi di colpa per non aver potuto aiutare
Demetrios. Il suo rammarico era intensificato dal fatto che Akylina si recava ogni dì in quello che in passato era stato il tempio di Demetra e che ora fungeva da tomba, per piangere il suo amato
e per donargli i fiori più belli che aveva colto.
Dopo qualche tempo, però, Persefone ricevette una visita inaspettata.
Ella stava versando lacrime ai piedi di un melograno, quando un uomo di rara bellezza si presentò al suo cospetto. Era alto, dai lunghi capelli color del grano
maturo e dal viso dolce, ma triste. I suoi occhi furono ciò che colpirono maggiormente la fanciulla. Essi erano, infatti, neri come una notte priva di stelle, ma ammalianti come perle. Persefone
ne fu affascinata ed intimorita al tempo stesso.
“Siete dunque voi, la nuova dea delle messi?” domandò lui, con voce profonda.
Ad un cenno affermativo del capo della ragazza, lui proseguì nel suo monologo.
“Il mio nome è Ade, signore degli Inferi e fratello maggiore del sommo Zeus. Solitamente non mi reco mai in superficie e non faccio nemmeno visita ai miei fratelli
e sorelle lassù, sull’Olimpo. Odio la loro compagnia chiassosa ed irritante.” confessò, il tutto senza alcun rimorso o vergogna.
Persefone lo osservò leggermente accigliata e disorientata per la sua schiettezza, ma ne fu altresì incuriosita. Quell’uomo divino era presuntuoso ed altezzoso,
eppure si trovava al suo cospetto. Doveva esserci senz’altro un valido motivo per questo, poiché, come affermava egli stesso, non abbandonava mai la sua lugubre dimora.
“E per quale ragione onorate il mondo della vostra presenza oggi, oh sommo Ade?” chiese spavalda e per nulla spaventata la donna.
“Sono venuto fin qui per riferirvi un messaggio da parte mia.” affermò serio “Siete fastidiosa.”
Persefone era sbalordita ed indignata. Poteva anche sopportare la sua arroganza, dato che era una delle divinità maggiori, ma anche lei era una dea e per di più
figlia di Demetra, sorella maggiore di Zeus e dello stesso Ade.
“Siete fastidiosa.” ripeté lui, incurante degli sguardi carichi d’odio della giovane “Perchè ogni giorno piangete insieme ad una donna per la morte di un mortale.
Era forse il vostro amante?”
Con rabbia e profondo dolore, Persefone gli rispose.
“No. Egli era il marito di Akylina, la quale visita ogni dì la sua tomba per non farlo sentire solo. Ed io…” un improvviso groppo alla gola la fece
interrompere.
“Voi?” chiese senza congetture e tatto alcuno il dio.
“Io… sono la causa della sua morte.” concluse, con una lacrima che le solcava il volto, lei.
“Ah.” emise Ade, apparentemente scioccato.
Il dio dei morti osservò ancora per qualche minuto Persefone, senza emettere il minimo rumore o suono. Ella, nonostante versasse lacrime, ricambiava il suo sguardo
indagatore con fierezza. Ade non credeva che occhi così dolci e sereni come il cielo primaverile, potessero celare sì tanta forza.
“Che dea piagnucolona.” disse infine, volgendole le spalle “Ho proprio sprecato il mio tempo giungendo qui. Non mancherò di fare presente al mio caro fratello
quanto incompetente voi siate. Tuttavia.” aggiunse prima che la fanciulla potesse controbattere “Poiché mal sopporto udire il suono della vostra voce, restituirò ad Akylina il suo amato. Anche
perchè non era destinato a quella morte… ed io detesto quando nel mio regno le regole del Fato non vengono rispettate.”
Prima che Persefone potesse anche solo aprir bocca, il dio era già svanito. La fanciulla, sebbene ancora scossa per quel breve ma inteso incontro, si precipitò
nella casa di Akylina, ed il suo stupore fu pari solo alla sua immensa gioia quando vide Demetrios riabbracciare la sua sposa.
Ade aveva veramente ridato vita a quel mortale, ma per quale ragione?
Ella non credeva minimamente alla scusa che il dio aveva usato, ma più Persefone ci pensava, meno ne comprendeva il motivo e maggiormente si faceva strada in lei
una certezza. Il dio dei morti era certamente orgoglioso e presuntuoso, ma anche molto solo, lei lo aveva percepito fin dal primo istante.
Ed era gentile, per quanto potesse sorprendere.
“Come potrei mai fare per sdebitarmi di tanta cortesia?” si chiese la dea e nel medesimo istante agì.
Colse i fiori più belli e colorati e ne fece un bel mazzetto, che infine legò con uno dei nastri rossi che lei utilizzava per acconciarsi la folta chioma bruna.
Quando però giunse all’ingresso dell’Aldilà, si trovò la strada sbarrata dal suo instancabile guardiano.
“Chi osa entrare nel regno dell’Oltretomba, quando la sua anima è ancora legata al corpo?” domandò un’enorme bestia famelica.
“È da maleducati chiedere di presentarsi, quando non lo si è fatto per primi.”
Le dure parole della dea colpirono come macigni la fierezza del cane a tre teste.
“Insolente ragazzina, imparerai a tue spese a controllare la tua arroganza!” ruggì.
Il mostro stava per azzannarla, quando una potente voce lo bloccò come un invisibile guinzaglio.
“Cerbero, placati!”
La bestia non si mosse.
Persefone, nel frattempo, osservò il suo salvatore. Ade, con passo aggraziato ma deciso, le si avvicinò.
“Dea delle messi, che siete venuta a fare quaggiù? Volevate forse molestare il mio fidato custode?” le sue parole furono accompagnate da una carezza sull’enorme
zampa dell’animale.
Nonostante le parole canzonatorie, la fanciulla porse il suo dono.
Il dio strabuzzò gli occhi e posò il suo sguardo svariate volte prima sui fiori e poi sul viso della giovane. Poiché non si mosse, Persefone parlò.
“Sono giacinti, i miei fiori preferiti, mentre al centro del bouquet ho messo delle campanule. A detta degli umani, simboleggiano la gratitudine.” l’ultima parola
fu quasi un sussurro.
Le iridi della ragazza non ressero più quelle del dio e le sue gote si tinsero come papaveri al pieno della loro fioritura. Ade, a quel punto, posò le mani su
quelle della fanciulla e dopo qualche istante le ritrasse, afferrando saldamente i fiori.
“Accetto con piacere il vostro dolce pensiero.”
Persefone assisté allora ad un evento incredibile e totalmente inaspettato. Il dio dei morti le stava sorridendo. Non con sarcasmo o saccenza. Con semplice
spontaneità. Senza rendersene conto, anche la dea ricambiò quell’espressione di gioia.
“Prego, sommo Ade. Ora perdonatemi, ma devo tornare alle mie mansioni.”
Si era già allontanata di qualche passo, quando la divinità la fermò con voce incerta.
“Aspettate! Voi… questi fiori…” per un attimo parve combattuto su cosa dire “Spero che non daranno noie come la persona che li ha colti.”
E svanì nell’Oltretomba.
Persefone credette di sentirsi offesa, invece si stupì di trovarsi a ridere di gusto, come non le accadeva da ormai talmente tanto tempo, che le pareva oltremodo
troppo. E questo era stato possibile perchè il candido viso del dio si era tinto di vita.
A partire dal giorno seguente, il dio dei morti si recò ogni dì sulla terra, per far visita alla divinità delle messi. Ed ogni volta, egli inventava una scusa
diversa.
“Il vostro canto fastidioso giunge fin negli Inferi, tanto vale che lo ascolti di persona.” diceva.
“Siete sempre allegra e vivace, ma lavorate veramente o vi limitate a fingere?”
Oppure “Stamane un mortale è giunto al mio cospetto, lamentandosi di essere morto di spavento. Per caso voi centrate niente?”
Ma la bella Persefone aveva ormai imparato che l’apparente altezzosità di Ade era solo una maschera per celare il suo profondo imbarazzo, e lei perciò non replicava
mai. Si limitava a scusarsi distrattamente per la sua presunta mancanza nei riguardi del dio, e poi lo invitava a sedersi con lei, mentre faceva nascere nuovi germogli o riportava alla vita
alberi vecchi e malati. E poi, quando Ade si congedava da lei, lo pregava di pazientare ancora un minuto. Persefone, infatti, non lo lasciava mai tornare nell’Aldilà a mani vuote, ma gli regalava
sempre un giacinto del suo colore prediletto, il bianco.
Le visite quotidiane del dio si prolungarono via via sempre più, da pochi minuti ad intere ore. Una volta, egli giunse persino a stare in sua compagnia dall’alba
sino al sopraggiungere delle prime stelle.
Il giorno seguente tuttavia, Ade non si presentò come suo solito di buon’ora. Persefone non se ne curò troppo inizialmente, intenta com’era a svolgere al meglio i
suoi doveri, ma quando l’ora si fece tarda, iniziò a temere per il suo amico.
Che gli fosse accaduto qualcosa di male?
Forse si era perduto o non si era sentito bene…
Preoccupata, la dea decise di cogliere immediatamente qualche fiore. In tal modo si sarebbe distratta e poi sarebbe corsa a far visita al dio. Ella era tormentata,
tuttavia, anche da un serio dubbio che attanagliava il suo incerto cuore. La dea considerava Ade come un amico prezioso, eppure era possibile che fosse semplicemente questo? Non riusciva a
comprendere lo strano sentimento che da giorni albergava nel suo animo. Sembrava come un bruco che, dopo una lunga e paziente attesa, si stava risvegliando e trasformando in una splendida
farfalla.
Mentre si crucciava in tali pensieri, Persefone quasi non notò la carrozza nera che si stava celermente avvicinando. Se ne rese conto solo quando fu troppo
tardi.
Lo sportellino s’aprì e una mano la prese per la vita e la caricò a forza al suo interno. Nel frattempo, la montagna dalla quale era sbucata la carrozza si riaprì e
unicamente dopo che essa fu entrata al suo interno, si richiuse, facendo così sparire ogni prova di ciò che era avvenuto.
Solo il mazzolino di fiori di Persefone era rimasto a terra abbandonato, come unica prova di quanto appena accaduto.
Persefone era stata sì obbligata a salire su quella tetra carrozza, ma la mano che l’aveva afferrata apparteneva ad Ade. Quando giunsero negli Inferi, il dio spiegò
il motivo del suo strano comportamento.
“Il minimo che potessi fare per avervi scocciato tutto il dì ieri, era quello di ospitarvi nella mia dimora stanotte.” disse, camminando nervosamente da una parte
all’altra della sua stanza.
Persefone l’osservò divertita. Non era arrabbiata con lui, anzi era sollevata, perchè adesso sapeva che il suo amico stava bene. Di nuovo avvertì una strana
sensazione, tuttavia, nel definirlo “amico”. Le pareva che quel termine non fosse per nulla appropriato. Decise però di non badarci.
“E per fare ciò, non potevate invitarmi, prima di rapirmi?” chiese ironica la dea.
“Io non vi ho rapito! Vi ho semplicemente obbligata ad accettare il mio invito… non potevo rischiare che voi rifiutaste.” mormorò Ade.
“Ebbene, perchè non me lo domandate ora?”
Il signore dell’Aldilà osservò stupito la fanciulla, ma subito l’accontentò.
Mi fareste l’onore della vostra compagnia, stanotte?”
“Accetto con immenso piacere.” fu la sincera risposta della fanciulla.
La serata trascorse tranquilla e serena, mentre le due divinità si dilettavano in gare di poesia o conversavano piacevolmente sui più svariati argomenti. Quando
venne servita la cena, Ade fermò la mano di Persefone, che già era protesa sulle cibarie.
“Aspettate, non potete farlo! Non ancora… non prima che vi abbia parlato di un fatto di vitale importanza, per me.”
La dea ritrasse la mano dal tavolo imbandito e si ricompose, in attesa di udire la voce del dio che, ormai ne era certa, le aveva rubato il cuore.
“Non dovete nemmeno sfiorare il cibo proveniente dall’Oltretomba, perchè se ne mangerete, anche solo un boccone, non potreste mai più abbandonare codesto luogo
infausto, tetro ed infelice… eppure…”
Per la seconda volta da quando lo conosceva, Persefone vide il signore dei morti esitare dinnanzi al suo sguardo. Tuttavia, in quel momento, egli non si trattenne
oltre.
“Eppure, desidero con tutto il cuore che voi mangiate qualcosa, fosse anche solo un misero chicco d’uva, voglio che lo addentiate. Perchè così facendo, sareste
legata a questo luogo… a me, in eterno. Ma io m’illudo.” disse mestamente la divinità “Come potreste mai voi, che rappresentate la vita stessa, innamorarvi della Morte? Voi appartenete al Sole,
al mondo variopinto e gioioso che sta sopra di noi, non certo a questo infausto loco. Mio fratello aveva ragione, non sarei mai dovuto venire in superficie…”
Il discorso di Ade aveva lasciato la dea delle messi senza parole, tuttavia ella si impose di ritrovare l’uso della voce, per chiarire i suoi dubbi e
interrogativi.
“Cosa vi disse il sommo Zeus?”
Le parole della fanciulla, per quanto soavi e leggiadre come il tiepido vento primaverile, scossero l’animo del dio come una tormenta, facendogli rievocare ricordi
infelici.
“Ricordate il giorno in cui ci incontrammo per la prima volta? In verità, quel dì, che mai dimenticherò, non ero giunto sulla terra per le ragioni che voi credete.
Io vi conoscevo già. Oh sì, vi conoscevo e vi ammiravo da lontano da tanto tempo. Eppure, benché abbia il pieno controllo sui morti, non trovavo mai il coraggio per parlarvi, per raggiungere in
qualche modo il vostro cuore. Non ero nemmeno in grado di sorridervi, di regalarvi un gesto che potesse farvi intendere il mio amore. Così, a causa della mia codardia, mi limitai a guardarvi da
quaggiù e, ogni volta che ridevate, il mio cuore provava un sussulto. Ma per quanto tentassi, sapevo di non potermi avvicinare a voi, e come potevo?”
A quel punto fece una pausa. Ade osservò il viso attento di Persefone con tanta insistenza, che ella fu costretta a spostare lo sguardo sul tavolo che si trovava
dinnanzi a lei. Il dio dei morti, probabilmente, era convinto che la risposta alla sua domanda retorica si trovasse di fronte a lui. Era inutile spiegarsi oltre, il motivo per cui non poteva
avvicinarsi a lei era che la dea, semplicemente, rappresentava tutto ciò che lui non era e non sarebbe mai stato.
“Tuttavia.” proseguì dopo qualche interminabile istante “Quando quel giorno vi vidi così triste e afflitta, per l’ennesima volta, a causa di quel mortale, qualcosa
in me si ruppe. Capii che dovevo fare qualcosa, che dovevo aiutarvi, poco importava se voi in seguito non mi avreste più degnato di uno sguardo. E quando, finalmente, mi decisi e mi presentai al
vostro cospetto, tutte le mie sciocche paure svanirono. Non mi sarebbe più importato di finire nuovamente nell’ombra, ora che avevo assaporato la dolcezza della luce. Ma voi, oh voi mi avete
stupito! Siete tornata da me, con un mazzo di fiori! Da allora mi illusi che forse anche voi avreste potuto provare lo stesso amore che io nutrivo nei vostri confronti. Per tale motivo venivo
ogni giorno da voi. Inizialmente, lo ammetto, nel vano tentativo di conquistare il vostro indomito cuore libero, ma poi non più. Non più per un sì futile motivo! Venni da voi per godere della
vostra allegria, della vostra gioia di vivere e del vostro sorriso, che era in grado di rendere me, Ade signore indiscusso della Morte, indifeso e spaesato come un bambino. Ma Zeus, il mio
potente fratello, mal sopportò questo mio atteggiamento. Proprio ieri, dopo il nostro lungo incontro, mi obbligò a presentarmi dinnanzi a lui e lì, al cospetto tutti gli dei, mi accusò di
incoscienza ed insubordinazione. Secondo lui, io non solo stavo mancando ai miei doveri di dio della Morte, ma stavo anche tentando di deviare voi dal vostro compito. E poi… mi ordinò di non
tornare mai più sulla terra, e mi proibì di incontrarvi ancora.”
A quelle parole Persefone impallidì. Non riusciva a credere che Zeus, padre buono e giusto di tutti gli dei, potesse essere così meschino e prepotente da ordinare
una cosa simile a suo fratello.
“Per questo vi ho rapita.” concluse il dio “Non potevo rischiare di ricevere un vostro rifiuto. Dovevo assolutamente vedervi ancora un’ultima volta e parlarvi. Ora
che l’ho fatto, mi sento felice. So bene che voi non accettereste mai di diventare la mia compagna, tuttavia sentivo prepotente in me la necessità di dirvelo. Adesso, siete libera di
andare.”
Appariva estremamente stanco Ade, come se avesse appena compiuto un’impresa ardua e difficoltosa, e così di fatto era stato. Rivelare in modo così aperto i propri
sentimenti non era cosa facile per una divinità solitaria come lui.
Persefone osservò attentamente il cibo che si stagliava dinnanzi a lei. C’erano proprio tutti i suoi frutti favoriti, dal melograno all’uva, dal pistacchio alle
ciliege. Gli occhi azzurri della dea si posarono poi sull’ambiente circostante. Sebbene tetra e apparentemente inospitale, la stanza di Ade era ricolma di tutti i fiori che lei gli aveva donato
in passato. In un bel vaso di fiori, poi, posto proprio al centro della stanza, vi si trovava il bouquet di giacinti e campanule che lei aveva confezionato la prima volta che si era incontrata
col bel dio. Infine, le sue iridi si posarono sul suo irrequieto interlocutore. Per quanto triste apparisse, egli era di una bellezza mozzafiato, ed i suoi riccioli dorati risaltavano con maggior
forza proprio grazie alla sua tunica nero pece. Per ultimo, notò un dettaglio che la commosse. Legato al polso destro di Ade, vi era il nastro rosso per capelli che la ragazza aveva utilizzato
per legare il mazzo di giacinti e campanule.
“Mio caro amico.” disse Persefone, mentre gli carezzava una guancia, sorridendogli come sempre “Conosco bene le leggi che governano questo regno e non le temo.
Luogo infausto, dite voi? Tetro? Infelice, l’avete definito? Eppure io non vedo altro he fiori, centinaia, migliaia e forse anche più dei miei amati giacinti bianchi come neve. E poi… ci siete
voi.”
A quel punto, la dea giocherellò con una ciocca di quei capelli che le ricordavano in modo impressionante il suo amato Sole.
“Sapete, inizialmente mal sopportavo la vostra presenza. Vi credevo freddo e distaccato, altezzoso ed arrogante, incapace di provare sentimenti e di riscaldare gli
altrui cuori. Ma adesso…”
“Adesso?” domandò speranzoso e preoccupato al tempo stesso Ade.
“Adesso mi rendo ben conto che quelle sono per davvero le vostre doti principali.” affermò sicura lei, con un sorriso birbante dipinto sulle labbra “Tuttavia, sono
conscia del fatto che non esiste al mondo luce più vitale per me, di quella che sapete donarmi voi con la vostra sola presenza.”
Detto ciò, Persefone afferrò un frutto di melograno, proveniente dalla stessa pianta che tempo addietro li aveva fatti incontrare, e ne osservò rapita il
colore.
“Io non temo la Morte e neppure l’ira di Zeus. Ciò che più temevo…” per un attimo non seppe come continuare.
“Cosa temete, mia signora?” chiese Ade, andando in soccorso della padrona del suo cuore.
“Ciò che temevo, e che ora non temo più, era di non provare mai in vita mia l’ebrezza dell’Amore. Quel sentimento caldo e rassicurante, ma allo stesso tempo
portatore di angosce e dolore, che nutre ogni giorno l’animo dei mortali. Ma adesso, è ben altro ciò che mi spaventa.” guardò con intensità gli occhi scuri del dio “Io ho paura di svegliarmi
domani e di non rivedere mai più il vostro dolce sorriso. Temo, molto più che la Morte, di non poter più udire la vostra voce canzonatoria che mi deride per la mia leggerezza. Tremo al solo
pensiero, di venire separata dall’Amore che ho tanto a lungo cercato e che ora si trova dinnanzi a me.”
A quel punto, senza più alcuna esitazione, Persefone addentò sei semi di melograno.
Ade era rimasto incantato dalle sue parole e dal suo gesto, ed i suoi occhi, per la prima volta da quando esisteva, provarono la gioia di versare lacrime di
felicità.
“A questo punto vi chiedo, mia amata, di parlare ancora una volta, poiché le mie orecchie hanno il disperato bisogno di udirlo dalle vostre dolci labbra: mi amate,
dunque?”
“Vi amo con tutta la mia anima e con ogni fibra del mio corpo.” rispose decisa lei.
“E… desiderate diventare la mia sposa?”
Persefone diede la sua risposta, con voce rotta dall’emozione.
“Solo ad una condizione…”
Quella stessa notte, Persefone si unì in matrimonio con Ade, dio dei morti e signore dell’Oltretomba, e ne divenne la moglie. Divenne il Sole dell’Aldilà, la
reincarnazione della Morte dolce e serena, fatta della stessa sostanza dei sogni. E lo è tutt’ora.
Per sei mesi all’anno, tuttavia, ella si deve allontanare dal suo amato per adempiere al suo compito, ovvero, vegliare sulla vita degli uomini e della
natura.
“Io sono la dea delle messi ed ho un impegno ed un debito nei confronti dei mortali. Senza di loro, infatti, non avrei mai potuto incontrare te, amore mio.” aveva
detto quella notte di tanti anni fa.
Ed Ade aveva accettato e persino Zeus si era dovuto ricredere, in quanto quella fanciulla si era dimostrata più forte di quanto pensasse e suo fratello maggiore, il
temibile dio dei morti, più tenace di quanto credesse.
E da allora così fu, per sempre.
Quando Persefone è nell’Aldilà con Ade, le foglie cadono e le piante si seccano e muoiono, benché ella sia felice e lieta. Questi mesi noi li chiamiamo Autunno e
Inverno. Ma quando la dea torna sulla terra, nonostante il suo cuore pianga e si spezzi, balla e danza allegramente e allora il suo sorriso fa sbocciare i fiori e i nuovi germogli escono dalla
terra. Questi sei mesi noi li conosciamo come Primavera e Estate.
Perchè non sempre le cose sono come appaiono…
Fonte: https://mondoautentico.wordpress.com/2014/09/23/il-mito-di-ade-e-persefone/