"In verità vi dico, nessuno può
entrare nel regno dei cieli se non nasce di nuovo. Nessuno che non è nato da Carne e Spirito può entrare nel regno dei Cieli".
L'essenza del nostro organismo non è la materia che lo compone.
nè l'energia che lo produce. La volontà della Coscienza precede sia la
materia che l'energia.
E’ negli abissi della terra e
quindi del nostro corpo, cioè nelle profondità della natura, nel ventre della Madre, che il mistero della nostra esistenza è nascosto, come un seme, come una ghianda.
La ghianda è il simbolo dell’immagine originaria che contiene tutte la altre, essa è la vocazione che sta al centro della nostra vita, il senso profondo della nostra missione, la ragione per la quale siamo stati chiamati nel mondo, il motivo per cui siamo stati concepiti, nel ventre della Madre e poi in quello di nostra madre.
Per ritrovare la ghianda dobbiamo andare a ritroso nel tempo, scendere nella Morte per risalire a quel tempo mitologico che ha preceduto il nostro concepimento.
La terra, cioè l’immagine di se stessa che la terra da dentro di noi produce, è malata. Questa malattia è la grande benedizione, l’atto di estremo amore con il quale la divinità di natura, l’androgino, il Vajra Pani, ci richiama a sé.
Per salvare la terra dobbiamo entrare dentro la terra, compiere il viaggio iniziatico verso la Morte, morire in vita e poi rinascere liberi.
Ancora una volta la difficoltà si profila come enorme possibilità, sta a ciascuno di noi dire di sì al richiamo e partire per il grande viaggio.
Per approfondire:
IL RITO DEL BARDO THOSGROL E L’ARTE DI NON AVERE PAURA
Il Bardo Thosgrol appartiene a una serie di istruzioni sui sei metodi di liberazione: attraverso l’udire, attraverso il vedere, attraverso l’indossare, attraverso il ricordare, attraverso il gustare e attraverso il toccare. I testi di queste istruzioni furono composti da Padmasambhava e sepolti sui monti Gampo nel Tibet centrale. Moti altri testi e oggetti sacri furono sepolti ovunque in molti luoghi del Tibet e sono noti come “terma”, “tesori nascosti”.
Padamasambhava trasmise il potere di scoprire i “terma”.
La chiave segreta dell’arte del non avere paura, consiste nel ricordare che tutto ciò che sperimentiamo è una nostra stessa emanazione, un prodotto della nostra coscienza, un sogno, un’illusione, mentre la realtà è “chiara luce” senza interruzioni.
La parola “Bardo” significa “transito, o passaggio intermedio”. Per transito si intende un cambiamento da uno stato dell’essere ad un altro, per esempio, il passaggio dalle veglia al sonno o dal sonno alla veglia, da uno stato di tristezza ad uno di felicità, dalla malattia alla salute. Sperimentiamo un Bardo quando una situazione “vecchia” volge al termine e quella “nuova” è ancora sconosciuta, quando un amore finisce, quando perdiamo una persona cara, quando lasciamo un lavoro senza averne uno nuovo….
Il rito del Bardo è come il viaggio dell’eroe. lasciamo la zona di confort e partiamo verso l’ignoto alla ricerca dei “tesori nascosti”.
La nostra vita è costellata da piccole morti. Sperimentiamo il Bardo, in vita, tutte le volte che si chiude un ciclo: la fine di un amore, il cambiamento di casa, luogo, lavoro, il distacco da una persona cara.
Questa pratica è utile e adatta a tutti. E’ molto efficace quando ci troviamo a vivere momenti di “passaggio” importanti (matrimoni, separazioni, lutti, traslochi) favorisce i cambiamenti, donando forza, coraggio per operare nuove scelte.
CONTENUTI:
· Miti e riti di passaggio.
· Meditazioni immaginali e Carte dei Nat.
· Il rito del Bardo Thosgrol e l’arte segreta di non avere paura.
· Daimon-gramma e vocazione.
· Lo Yoga del Colofon.
OBIETTIVI :
· Ri-elaborare, ri-raccontare e integrare gli eventi alla luce della trasvalutazione (dare un valore diverso, guardando da altre prospettive).
· Lasciar andare i pesi del passato e creare nuovo humus per i semi del futuro.
· Deprogrammare comportamenti inconsci nocivi e indesiderati.
· Scoprirsi sognatori del sogno, creatori e non vittime degli eventi.
· Stati estetici, estatici e poetici.
· vivere il cambiamento e raggiungere i propri obiettivi, rimanendo liberi dalla paura.
STORIA DI UN UCCELLO "IMMORTALE": IL PAVONE E LA "PAVOLATRIA" TRA ORIENTE E OCCIDENTE
Otto pavoni sostengono il Bardo-Thodol, il trono del Buddha Amitâbha ("Buddha della Luce Eterna"), al quale corrispondono il colore rosso e l'elemento fuoco ed è la forma animale che il Buddha della Conoscenza adotta comunemente quando si incarna nel mondo materiale (quando il Buddha Amitābha cavalca un pavone la sua coda si estende dietro al cavaliere formando un'aureola); dai buddisti, inoltre, le sue penne (mayurapattra) sono considerate un simbolo religioso e indicano compassione, immortalità e immunità da ogni veleno (anche simbolico: rabbia, avidità e ignoranza) e dalle tentazioni del mondo, mentre la coda aperta viene associata alla "Ruota della Vita" (sei penne adattate a ventaglio decorano il vaso e l'aspersorio che serve a distribuire l'acqua purificante nel rituale buddista tibetano).
Il pavone è il simbolo della bellezza e del potere di trasmutazione perché la bellezza delle sue piume si suppone prodotta dalla metamorfosi spontanea dei veleni che egli assorbe distruggendo i serpenti. Secondo il buddismo Mahāyāna infatti: «I bodhisattva sono paragonati ai pavoni: essi si cibano di afflizioni - quelle piante velenose.
Trasformandole nell’essenza della pratica, crescono robusti nella giungla della vita quotidiana. Qualsiasi cosa venga offerta essi l’accettano sempre, mentre distruggono il veleno del desiderio».
Nel trattato buddista "La Ruota delle Armi Taglienti" di Dharmarakshita, il pavone viene considerato capace di neutralizzare e di utilizzare come alimento un veleno questa volta non animale ma vegetale: quello dell'aconito nero o vatsanabha (Aconitum ferox), una pianta tossica ma adoperata con particolari dosaggi e in abbinamento ad altri ingredienti dalla medicina tradizionale ayurvedica (specialmente in quella tibetana) per la cura di vari disturbi tra cui quelli mentali.
Sempre nel Tibet di fede buddista, inoltre, troviamo Palden Lhamo (il cui nome si traduce come "Gloriosa Dea", Shri Devi in sanscrito), l'unico "protettore" di sesso femminile del Dharma e del Tibet, comune a tutte le quattro scuole del Buddismo Tibetano: è raffigurata in modo molto irato, e cavalca il suo mulo attraverso un mare di sangue, circondata dal fuoco della saggezza; appare di color blu-scuro ed ha una faccia con tre occhi, ha un sole sull’ombelico e la luna sulla corona della testa, e al di sopra di lei vi è un ombrello-pavone (tradizionale simbolo di protezione). Nel racconto "Maha-Mora Jātaka" dei "Jātaka" o "Vite anteriori del Buddha" (da jāti, "vite anteriori"), una raccolta di 547 storie di altrettante vite anteriori del Buddha storico contenute nella sezione "Khuddaka Nikaya" del "Sutta Pitaka" (parte del Canone buddhista), il pavone è una forma di bodhisattva sotto la quale egli insegna la rinunzia ai legami mondani e simboleggia così la compassione, la prudenza e la saggezza. In un altro racconto degli "Jātaka", il "Nacca Jātaka" ("La danza del pavone") appare invece, in apparente contraddittorietà (vista la polisemanticità insita in molti simboli antichi), come simbolo della vanità: «Durante la prima era del mondo i quadrupedi elessero come loro sovrano il Leone, gli animali acquatici il pesce Ananda e gli uccelli l'Oca d'oro. Il re degli uccelli aveva una figlia giovane e bella che egli accontentava in ogni desiderio: quando lei chiese di potere scegliersi un marito, il re accondiscese e radunò tutti i volatili su un pianoro fra le rocce dell'Himalaya. La principessa, dopo averli esaminati attentamente, scelse il pavone dal collo lucente come una pietra preziosa, il quale al colmo della gioia esclamò: "Fino a oggi avete visto soltanto la mia bellezza, ma ora scoprirete anche la mia vigoria". E dimenticando modestia e decoro, nel bel mezzo di quella adunanza aprì le ali e cominciò a danzare mostrando le sue nudità. Indignato, il re Oca d'oro esclamò: "Costui non ha modestia d'animo né decenza di comportamento: io non darò mia figlia a questo spudorato". E pronunciò questi versi:
Piacevole è la tua voce, magnifico il tuo dorso,
splendente il tuo collo come pietra preziosa,
smisurate le piume della tua coda,
ma per la tua danza non ti darò mia figlia.
Poi la concesse a un papero, suo nipote». Questo racconto che si basa sull'osservazione del corteggiamento naturale del pavone, il quale in effetti alza la coda e mostra di proposito i genitali alla femmina prima della copula, fu all'origine della bolla di "spudoratezza" e di "vanità" che ritroveremo anche in Occidente.
I gianisti, concentrati soprattutto nell'India nord-occidentale, seguaci di una religione molto antica che, come il buddhismo, affonda le proprie radici nella tradizione induista, dalla quale si distinse in seguito a un movimento di riforma rispetto all'ortodossia vedica e brahmanica, camminano a piedi nudi e talvolta spazzano con una scopetta (a volte formata da penne di pavone) il cammino di fronte a sé per non calpestare inavvertitamente insetti e altre creature viventi. Secondo il gianismo le penne di pavone, che i saggi utilizzavano come scaccia-mosche, inoltre, liberano dalla paura se portate addosso e respingono il maligno; il saggio Munidhurandhara, affermava inoltre che non c'è posto per i serpenti nel regno del pavone dato che all'udire il suo richiamo fuggono via.
Marco Miosi (antropologo culturale)