LA VOCE DELLE ANTENATE
“Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un’immagine o disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro. Tuttavia, nel venire al mondo, dimentichiamo tutto questo e crediamo di essere venuti vuoti. È il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro destino”.
(J. Hillman, Il codice dell’Anima)
Chi, se non un Daimon, un angelo custode, un Genius, ha tessuto la trama che ha fatto incontrare Elena e Gabriella, affinchè si manifestasse un “disegno”?
La creazione di questo libro è preceduto da una serie di eventi sincronici, di incontri apparentemente casuali, di “chiamate” a seguire un cammino o una voce.
Forse una “voce” ha suggerito a Elena il nome “Fila fiabe”?
Vocazione nel suo significato originario vuol dire essere guidati da una voce, interiore.
A distanza di tempo, guardando all’indietro, le linee del disegno, la trama della tessitura, appaiono con chiarezza. I dettagli, all’inizio sparsi e senza collegamento, ora si uniscono a mostrare la visione d’insieme di una regia che non è del mondo visibile, ma che dall’invisibile ispira e guida.
Elena ha seguito le tracce, gli odori, gli incontri, ha intessuto relazioni, poco ordinarie, abituata a convivere con il mondo magico e fatato che crea con la sua arte.
La dea del ricordo Mnemosine e le sue nove figlie, le muse, guidano ed ispirano il destino di coloro che credono fortemente all’idea che siamo venuti qui, sulla terra, per realizzare i nostri talenti e metterli al servizio della comunità.
Renè Guènon parla del simbolismo del “tessere e del filare”, non come di semplici mestieri, ma di un’arte e di un supporto alle iniziazioni femminili, ancora poco esplorato.
Tre donne sedevano in cerchio, ciascuna su un trono…, racconta il mito di Er, di Platone.
E così sedevano le nostre antenate, cardando, filando e tessendo, raccontavano storie, tramandavano eredità e conoscenze culturali e spirituali: insegnavano come far durare l’amore, come risvegliare l’intuito addormentato, come trasformare le avversità in occasioni di crescita e di cambiamento, come curare le ferite del corpo e dell’anima, alle giovani apprendiste.
Tessere è raccontare di come tutto viene creato.
La ripetizione dei gesti trasporta in uno stato di coscienza “altro”, e mani esperte ed abili partoriscono immagini e forme.
Cardare la lana, ripulire e liberare dalle impurità, districare e rendere parallele le fibre tessili, per permettere la filatura, non sono solo atti manuali, ma metafore simboliche della creazione.
Discriminare, separare, è un’ apprendimento al discernimento, a fare sottili distinzioni nel giudizio, a riconoscere il vero amore dal falso amore, ciò che è cibo per il corpo e per l’anima, da ciò che è inutile o dannoso, ciò che è vitale, da ciò che è sterile.
Spremere, strizzare è un’attività collegata ad una ricerca della verità, di ciò che è essenziale.
Districare e sciogliere i nodi delle difficoltà, diventa un atto sacro per liberare l’anima.
L’asse luminoso del mondo è il fuso della necessità (la dea Ananke); la Parca Cloto lo fa ruotare su se stesso con la mano destra, quindi da destra verso sinistra. Lachesi cantava il passato, Cloto il presente, Atropo il futuro.
Queste madri della Vita/Morte/Vita insegnano alle donne la sensibilità a quanto deve morire o deve vivere, a quanto deve essere cardato e a quanto deve essere tessuto.
Storie del ciclo vita/morte/rinascita, vengono narrate da Gabriella. Le sue parole creano immagini, capaci di far rivivere le vicende umane, la ricerca di identità, autonomia e libertà, di Trosia Hilara.
Grazie al ritrovamento di una stele funeraria, emerge a distanza di secoli, la storia di una donna, che non solo si riscatta, ma che in vita, progetta dove riposare una volta che la Moira Atropo taglierà il suo filo.
La sua intelligenza e nobiltà d’animo la spinge ad estendere questo “privilegio” a tutte le sue liberte e i suoi liberti.
Una sorta di piccola “Antologia di Spoon river”, è questa raccolta di racconti, per onorare chi, più di 2000 anni fa ha tracciato nuovi sentieri, ha aperto nuove strade e nuove visioni, alle figlie, alle donne, agli uomini che le hanno accompagnate, e a quelli che sarebbero venuti dopo.
Due donne hanno unito i fili del loro destino per dare voce, attraverso la narrazione, e forma, con la creazione di manufatti, a questa figura femminile che riemerge in tutto il suo splendore.
Si racconta, che ci sono donne che hanno una qualità magica, la capacità di trasmettere e di infondere attraverso la voce e le mani, la saggezza e la conoscenza di “Colei che sa”, a oggetti, pupazzi, animali.
Paola Biato
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